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GLI ANGELI COLORATI DI GASTONE BAI
Un'immagine mirabile di Walter Benjamin contenuta in uno degli aforismi
delle Tesi sulla filosofia della storia evoca un angelo atterrito, l'angelo
della storia. Nel suo sguardo è fissata la paura che domina l'individuo
della nostra epoca divorziato dalle vicende del mondo, dal suo corso irreversibile,
ove non riesce a riconoscersi, ed insieme il presagio di una catastrofe.
Tale è lo sgomento dell'uomo di fronte allo spettacolo delle grandi
città e alla folla di sonnambuli che in esse si agita. Tale è
l'angoscia ultima di chi è consapevole e inerme di fronte al moto
del progresso che non è palingenesi, liberazione e redenzione, ma
indifferenza e barbarie.
Leggiamo per intero il passo di Benjamin: "C'è un quadro di
Klee che s'intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto
di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati,
la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo
aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi,
egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine
e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti
e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è
impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può
più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro,
a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui
al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta".
Difficile pensare un'immagine più potentemente capace di demistificare
l'idolo tronfio e vano del progresso coltivato an¬cora dall'ottuso ottimismo
tecnologico. Difficile immaginare una più disperata fedeltà
a un ordine naturale di cui la civiltà del computer fa incessantemente
strame.
Quando gliela proposi, più di dieci anni fa, in un momento decisivo
del suo itinerario, l'immagine piacque a Gastone Bai che subito si procurò
il disegno di Klee. Ne tras¬se però una interpretazione un poco
diver¬sa da quella benjaminiana. Intanto il suo angelo vorrebbe andare
avanti, rifuggire dall'orrore, ma è la tempesta che ne trattiene
il volo. Poi non ha nulla di meccanico: è umanizzato, persino bello.
Contro il progresso devastante, Bai involò angeli colorati, sospesi
nello spazio, talvolta non solitari, stilizzati in sagome quasi femminili.
II tema del progresso come progressione infernale del potere di distruzione
della civiltà informerà altri soggetti della sua galleria,
dal cipresso simbolo di un mondo contadino che va scomparendo ai fossili
scheletriti, dai monoliti a certi paesaggi lunari o con grattacieli disumanizzati,
dai tralicci dell'elettricità che segnano la fine di un naturale
incanto alle sagome cupe di testimoni attoniti o inconsapevoli di una catastrofe.
Bai nasce a Sarteano, in quella sua frazione
di Castiglioncello del Trinoro arrocca¬ta a guisa difensiva su un poggio
rivestito di abeti che si affaccia sulla Val d'Orcia. II paese, un tempo
fervido di vita, ora conta poche decine di abitanti, la maggior parte forestieri
attratti dalla solitudine del luogo, mentre i versanti della campagna risultano
quasi spopolati.
A questo paesaggio intatto e desolato, a questa civiltà agreste,
povera e generosa solo di fatiche, guarda a lungo il giovane ceramista:
forme naturali e relazioni umane si intrecciano in una discreta risonanza
nella sua opera.
Gli anni fino al 1970 sono quelli dedicati alla scuola e alla formazione.
Vi ci soffermiamo soltanto perché una parte di essi continua a vivere
in un presente che intende serbare memoria delle proprie radici. Penetrare
nei misteri della ceramica esige un lungo apprendistato e un'altrettanto
paziente sperimentazione tecnicocromatica oltre che figurativa. Bai fa le
prime prove ispirandosi ai modelli etruschi e greci in un incessante esercizio
ripetitivo, all'arte popolare, ai classici senesi e umbri. I corali miniati
conservati nel museo della cattedrale di Chiusi e Piero della Francesca
sono le prime fonti di luce per il futuro autore che adesso è costretto
a viverle dentro di sé, in una sorta di laboratorio ideale. Questo
periodo è infatti caratterizzato dalle necessità di dare un
esito sicuro al proprio lavoro, esito che viene garantito esclusivamente
da un pro¬dotto artigianale, decoroso e talvolta di buon livello, ma
umile.
Sono gli anni in cui sopravvive sponsorizzato il realismo, La tentazione
è forte e af¬ferra il giovane desideroso di dare materialità
a un suo mondo, di identificarsi con certi autori e punti di riferimento.
Va a suo merito di avere superato abbastanza presto questo stadio. Era giusto
diffidare della retorica, peraltro tardiva, dell'arte impegnata e della
denuncia sociale e aprirsi nuovi spazi entro cui muoversi più liberamente.
Persino un avvenimento "politico" come la trucidazione del padre
a opera dei nazifascisti non ha riscontro tra i suoi soggetti. Altri ne
avrebbero fatto un motivo di interiorità ostentando il dolore (e
negando l'esperienza che nasce dal dolore). "Fu uno stupido crimine.
Mio padre non si era mai occu pato di politica".
Più importante e persistente, anche al di qua del periodo qui preso
a scalare, l'influsso che gli deriva, attraverso De Chirico e Chagall, dalle
avanguardie europee dei primi decenni del secolo e che si traduce in una
mescolanza di motivi allorché Bai, all'inizio degli anni settanta,
denuncia qualche incertezza sulle acquisizioni tematiche e formali e, in
particolare, la volontà di superare la dicotomia tra artigianato
di livello e valori di ricerca stilistica. Acqua, terra, fuoco e com posizione.
L'opera poteva finire lì quasi priva di significato come un pregevole
manufatto, come oggetto denudato, scarno, essenziale. Vi traspare in queste
prime prove la lettura di un Pollock o, forse, di un Warhol.
Era anche possibile scorgervi il gesto (dada, informale, pop), per cui la
creazione ha una primaria motivazione emotiva, ma ancora tenue, direi ricalcata,
che a poco a poco s'investe di significati per i quali bisogna risalire
all'indietro, alla cultura in cui
cresce e matura il giovane artista. In altri casi l'opera si compie - più
esattamente, il ciclo di opere si compie - in freddezza, mediante un procedimento
di elaborazione tutto giocato sulla tecnica, ove il tema è assunto
a mero pretesto, per cui l'opera tende a esaurirsi nella calligrafia, nella
materia stessa manipolata. E su ciò torneremo.
Più avanti, o contemporaneamente, notevole simpatia gli suscitano
i manifesti murali americani - la cosidetta arte di frontiera - da cui i
colori chiari, soffusi, evanescenti, anzi, di più, l'attrazione verso
i colori; la galleria di personaggi si arricchisce dei militi cantori, dei
guerrieri metropolitani a cava¬lo emergenti sullo sfondo di luoghi inabitabili.
Della convivenza artigianato-ricerca in questo periodo si è detto;
ma il segno infor¬male prelude a un balzo di qualità, a una svolta
che sarà definitiva. Intanto, tra la fine degli anni settanta e l'inizio
degli anni ottanta, si attingono nuovi elementi di suggestio¬ne dai
bozzetti felliniani e dalla plasticità di scultori contemporanei
(Arianna, Dafne, donne che corrono, volti maschili quasi sempre impenetrabili).
Ma il processo di maturazione procede sul
piano stilistico con il recupero di immagini consolidate che anticipano
forse anche una costante di significati. L'ambiente della Val d'Orcia ricompare
più volte sotto forma di cipressi allineati o isolati al centro di
una campagna arida e luminosa ma intatta, che resta, finché resterà,
una delle più belle d'Italia con i suoi calanchi, le sue mammelle,
le "crete" ormai marginalizzate, Si ripropone anche l'interesse
per i soggetti religiosi sia nella loro esasperazione drammatica, sia nell'enigma
che racchiudono (si notino la consapevolezza dell'evento nel volto del Cristo
e l'impossibilità di Maria al momento dell'Annunciazione). Ciò
non può non rivestire un impulso spirituale che si esprime con un
accostamento ai temi struggenti del mistero: con semplicità e umiltà,
dirò meglio, con curiosità, la stessa che ritroviamo in certe
composizioni sia su creta che su foglio in cui pare di scorgere l'angolo
visuale dell'infanzia rispetto alla tragedia del mondo. Un'infanzia che
si nutre di malinconia più che di gioia, di rimpianti più
che di speranza. Già in questa fase nell'arte di Bai si celebra un'allegoria
dell'infelicità.
C'è un terzo periodo della sua evoluzione, i cui stadi risultano,
com'è normale in queste suddivisioni cronologiche operate per comodità
di lettura, sovrapposti, con balzi audaci e più meditate regressioni.
Un'analisi attenta, condotta sugli stessi soggetti, potrebbe rilevare i
mutamenti formali intervenuti da un periodo all'altro. E' certo importante
l'assunzione della pittoricità rispetto alla tensione del gesto,
al romanticismo dell'indistinto, che perdura; è, del pari, significativo
il complicarsi (e qui il gres e gli arcrilici facilitano il compito) dell'oggetto,
la frenesia di scoprire le potenzialità degli elementi plastici e
coloristici. Si rifugge dalla tendenza -oggi affermata - di privilegiare
la composizione mediante l'adozione di un solo colore (con la monocromaticità
s'intende esaltare la figura, il tratto, il rilievo),
mentre il ricorso a un vasto spettro cromatico diviene per Bai funzionale
a un risultato espressivo che si vuole più forte.
Più significativa ancora per le prospettive che apre, per la stessa
avventura che lo attende, è la decisione di rompere con la produzione
di oggetti d'uso e di dedicarsi esclusivamente alla ricerca. Da qui il rinascere
e l'accentuarsi dell'interesse mai del tutto scomparso (certo meno praticato)
per il disegno e, appunto, la pittoricità. Ecco quindi il, talvolta
caotico e incontenibile, esplodere dei colori. A temi apocalittici, con
le allegorie della distruzione, di cui l'Angelus non è la sola espressione,
si unisce quella che sarà la nuova costante di Bai, ciò che
è al di là del segno, che non può essere descritto,
la cifra, l'inaudito.
Se il tutto si presenta di volta in volta mescolato e confuso; se non vi
sono nell'ultima produzione abbandoni netti con soluzioni di continuità,
se insomma pezzi di passato continuano a vivere nel presente, ciò
dipende dal procedere stesso dell'artista, in progressione e a volute. Semmai
non si nota nel foglio ciò che la stessa ceramica non potrebbe rappresentare;
e allora, se è così, meglio varrebbe riservare al disegno
le prove d'autore, gli esperimenti, e concentrarsi su quella che resta per
Bai l'elemento naturale, il modellare la creta e dipingerla.
La scelta di confezionare un oggetto d'arte rispetto all'oggetto d'uso è
un atto di coraggio nella realtà d'oggi, ma sarebbe ingenuo pensare
che ciò svincoli, come per magia, il produttore dalle esigenze del
mercato o dell'utenza che pongono problemi di funzionalità. Come
e più di un quadro, un pannello di ceramica deve assolvere una funzione
decorativa da cui il produttore è oggettivamente condizionato. La
ricerca pura può avvenire (anzi avviene), ma al di qua della soglia
del laboratorio ove al mercato è proibito l'accesso. Quando il prodotto
ne esce, ha già subito un processo di adeguamento atto a introdurlo
nel mercato. Tale problematica già riscontrabile nelle opere che
precedono la scelta dei primi anni ottanta è ben presente in quelle
che la susseguono, Anzi si rafforza nel complesso l'intenzione di conseguire
la bella composizione, lo sforzo volto al perfezionismo dell'immagine che
riempie il pannello o si fa statua o abbozzo.
C'è in altre parole l'impegno tecnico che fa la differenza con il
prodotto banale e allo stesso tempo la precisa volontà di non volgere
le spalle a una fascia di mercato che pure permette a una bottega di produrre
e di vivere. Si ricorda al riguardo l'inserimento tutto naturalistico di
alcune foglie di acero in un contesto informale, gli stessi angeli sono
armoniosi e colorati, il cipresso è talvolta congiunto alle stelle
o corredato da un effetto di conchiglia, per restare agli esempi vistosi.
Ma è tutta la composizione che subisce un affinamento di gusto come
mediazione verso quell'aggancio commerciale che è poi la normale
fruizione.
Diceva Adorno che la società funzionale pone ai propri margini chi
non vi si adegua. Tale adeguamento è, in ultima analisi,
l'esercizio che l'adulto è costretto a compiere per rispondere alla
sua domanda. Diventare adulto significa in altre parole apprendere coscienziosamente
l'arte di adeguarsi soffocando, se necessario, quella parte di sé
che avrebbe ambito a una diversa crescita, a una totale liberazione. L'artista
è una figura chiave del rapporto bambino-adulto. La sua condizione
sociale gli interdice di restare bambino subendo la penosa sconfitta che
la società riserva ai suoi membri difformi, agli anomali, a coloro
che non si adeguano alle sue regole. Se non ha la fortuna di nascere ricco
o di incontrare un mecenate deve inventarsi un modo di crescere, mirare
a conquistarsi un punto di equilibrio tra aspirazioni individuali e fruizione
del prodotto conciliando gli opposti. Nessun mago dell'estetica divinò
che gli artisti dovessero fare la fame.
II punto di equilibrio conseguito non consiste in Bai nella visione latente
del bimbo diventato adulto, nella prospettiva attraverso cui l'artista guarda
ciò che rappresenta, ma, al contrario, nella funzione che attribuisce
agli oggetti che produce. II fruitore delle sue composizioni diventa il
suo interlocutore (seppure non unico), cui si rivolge mediando tra raffinatezza
tecnica e calligrafica da un lato e ricerca artistica dall'altro.
Nell'esito di questa combinazione il bambino è diventato adulto ed
ha assunto una certa astuzia. II ritorno alle visioni dell'infanzia proprie
dell'arte naif o, meglio ancora, del primo surrealismo, ancorché
autentiche e non vezzi o esibizionismi, gli sembrava insufficiente a coinvolgere
un'utenza più sensibile ad altri motivi e strumenti, anche tecnici,
che si lascia sedurre dalla finzione se questa è sapientemente organizzata.
Tale finzione andava quindi alimentata con lo studio dei meccanismi che
regolano il consumo dell'oggetto d'arte nella società contemporanea,
gratificando un'utenza dopo averne scoperto i punti deboli, penetrando nelle
sue manchevolezze, Pare questa la prospettiva, ormai del tutto acquisita,
di certi approdi di Bai. (I cicli delle figure femminili isolate o a gruppi,
le sculture muliebri stilizzate, i ritratti di guerrieri a cavallo, i pannelli
informali assai elaborati, ne forniscono una esauriente campionario.) Non
si tratta di una mistificazione, bensì, si noti, di una combinazione,
di rendere cioè funzionali elementi di diversa origine.
L'ingenuità del bambino diventato adulto si è arricchita di
scaltrezza e di bravura tecnica, la fedeltà all'infanzia ha acquisito
la lucidità necessaria per individuare ciò che non è
innocente.
Franco Fè