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Franco Fè , 1990

GLI ANGELI COLORATI DI GASTONE BAI


Un'immagine mirabile di Walter Benjamin contenuta in uno degli aforismi delle Tesi sulla filosofia della storia evoca un angelo atterrito, l'angelo della storia. Nel suo sguardo è fissata la paura che domina l'individuo della nostra epoca divorziato dalle vicende del mondo, dal suo corso irreversibile, ove non riesce a riconoscersi, ed insieme il presagio di una catastrofe. Tale è lo sgomento dell'uomo di fronte allo spettacolo delle grandi città e alla folla di sonnambuli che in esse si agita. Tale è l'angoscia ultima di chi è consapevole e inerme di fronte al moto del progresso che non è palingenesi, liberazione e redenzione, ma indifferenza e barbarie.
Leggiamo per intero il passo di Benjamin: "C'è un quadro di Klee che s'intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta".
Difficile pensare un'immagine più potentemente capace di demistificare l'idolo tronfio e vano del progresso coltivato an¬cora dall'ottuso ottimismo tecnologico. Difficile immaginare una più disperata fedeltà a un ordine naturale di cui la civiltà del computer fa incessantemente strame.
Quando gliela proposi, più di dieci anni fa, in un momento decisivo del suo itinerario, l'immagine piacque a Gastone Bai che subito si procurò il disegno di Klee. Ne tras¬se però una interpretazione un poco diver¬sa da quella benjaminiana. Intanto il suo angelo vorrebbe andare avanti, rifuggire dall'orrore, ma è la tempesta che ne trattiene il volo. Poi non ha nulla di meccanico: è umanizzato, persino bello. Contro il progresso devastante, Bai involò angeli colorati, sospesi nello spazio, talvolta non solitari, stilizzati in sagome quasi femminili.
II tema del progresso come progressione infernale del potere di distruzione della civiltà informerà altri soggetti della sua galleria, dal cipresso simbolo di un mondo contadino che va scomparendo ai fossili scheletriti, dai monoliti a certi paesaggi lunari o con grattacieli disumanizzati, dai tralicci dell'elettricità che segnano la fine di un naturale incanto alle sagome cupe di testimoni attoniti o inconsapevoli di una catastrofe.

Bai nasce a Sarteano, in quella sua frazione di Castiglioncello del Trinoro arrocca¬ta a guisa difensiva su un poggio rivestito di abeti che si affaccia sulla Val d'Orcia. II paese, un tempo fervido di vita, ora conta poche decine di abitanti, la maggior parte forestieri attratti dalla solitudine del luogo, mentre i versanti della campagna risultano quasi spopolati.
A questo paesaggio intatto e desolato, a questa civiltà agreste, povera e generosa solo di fatiche, guarda a lungo il giovane ceramista: forme naturali e relazioni umane si intrecciano in una discreta risonanza nella sua opera.
Gli anni fino al 1970 sono quelli dedicati alla scuola e alla formazione. Vi ci soffermiamo soltanto perché una parte di essi continua a vivere in un presente che intende serbare memoria delle proprie radici. Penetrare nei misteri della ceramica esige un lungo apprendistato e un'altrettanto paziente sperimentazione tecnicocromatica oltre che figurativa. Bai fa le prime prove ispirandosi ai modelli etruschi e greci in un incessante esercizio ripetitivo, all'arte popolare, ai classici senesi e umbri. I corali miniati conservati nel museo della cattedrale di Chiusi e Piero della Francesca sono le prime fonti di luce per il futuro autore che adesso è costretto a viverle dentro di sé, in una sorta di laboratorio ideale. Questo periodo è infatti caratterizzato dalle necessità di dare un esito sicuro al proprio lavoro, esito che viene garantito esclusivamente da un pro¬dotto artigianale, decoroso e talvolta di buon livello, ma umile.
Sono gli anni in cui sopravvive sponsorizzato il realismo, La tentazione è forte e af¬ferra il giovane desideroso di dare materialità a un suo mondo, di identificarsi con certi autori e punti di riferimento. Va a suo merito di avere superato abbastanza presto questo stadio. Era giusto diffidare della retorica, peraltro tardiva, dell'arte impegnata e della denuncia sociale e aprirsi nuovi spazi entro cui muoversi più liberamente. Persino un avvenimento "politico" come la trucidazione del padre a opera dei nazifascisti non ha riscontro tra i suoi soggetti. Altri ne avrebbero fatto un motivo di interiorità ostentando il dolore (e negando l'esperienza che nasce dal dolore). "Fu uno stupido crimine. Mio padre non si era mai occu pato di politica".
Più importante e persistente, anche al di qua del periodo qui preso a scalare, l'influsso che gli deriva, attraverso De Chirico e Chagall, dalle avanguardie europee dei primi decenni del secolo e che si traduce in una mescolanza di motivi allorché Bai, all'inizio degli anni settanta, denuncia qualche incertezza sulle acquisizioni tematiche e formali e, in particolare, la volontà di superare la dicotomia tra artigianato di livello e valori di ricerca stilistica. Acqua, terra, fuoco e com posizione. L'opera poteva finire lì quasi priva di significato come un pregevole manufatto, come oggetto denudato, scarno, essenziale. Vi traspare in queste prime prove la lettura di un Pollock o, forse, di un Warhol.
Era anche possibile scorgervi il gesto (dada, informale, pop), per cui la creazione ha una primaria motivazione emotiva, ma ancora tenue, direi ricalcata, che a poco a poco s'investe di significati per i quali bisogna risalire all'indietro, alla cultura in cui
cresce e matura il giovane artista. In altri casi l'opera si compie - più esattamente, il ciclo di opere si compie - in freddezza, mediante un procedimento di elaborazione tutto giocato sulla tecnica, ove il tema è assunto a mero pretesto, per cui l'opera tende a esaurirsi nella calligrafia, nella materia stessa manipolata. E su ciò torneremo.
Più avanti, o contemporaneamente, notevole simpatia gli suscitano i manifesti murali americani - la cosidetta arte di frontiera - da cui i colori chiari, soffusi, evanescenti, anzi, di più, l'attrazione verso i colori; la galleria di personaggi si arricchisce dei militi cantori, dei guerrieri metropolitani a cava¬lo emergenti sullo sfondo di luoghi inabitabili. Della convivenza artigianato-ricerca in questo periodo si è detto; ma il segno infor¬male prelude a un balzo di qualità, a una svolta che sarà definitiva. Intanto, tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, si attingono nuovi elementi di suggestio¬ne dai bozzetti felliniani e dalla plasticità di scultori contemporanei (Arianna, Dafne, donne che corrono, volti maschili quasi sempre impenetrabili).

Ma il processo di maturazione procede sul piano stilistico con il recupero di immagini consolidate che anticipano forse anche una costante di significati. L'ambiente della Val d'Orcia ricompare più volte sotto forma di cipressi allineati o isolati al centro di una campagna arida e luminosa ma intatta, che resta, finché resterà, una delle più belle d'Italia con i suoi calanchi, le sue mammelle, le "crete" ormai marginalizzate, Si ripropone anche l'interesse per i soggetti religiosi sia nella loro esasperazione drammatica, sia nell'enigma che racchiudono (si notino la consapevolezza dell'evento nel volto del Cristo e l'impossibilità di Maria al momento dell'Annunciazione). Ciò non può non rivestire un impulso spirituale che si esprime con un accostamento ai temi struggenti del mistero: con semplicità e umiltà, dirò meglio, con curiosità, la stessa che ritroviamo in certe composizioni sia su creta che su foglio in cui pare di scorgere l'angolo visuale dell'infanzia rispetto alla tragedia del mondo. Un'infanzia che si nutre di malinconia più che di gioia, di rimpianti più che di speranza. Già in questa fase nell'arte di Bai si celebra un'allegoria dell'infelicità.
C'è un terzo periodo della sua evoluzione, i cui stadi risultano, com'è normale in queste suddivisioni cronologiche operate per comodità di lettura, sovrapposti, con balzi audaci e più meditate regressioni. Un'analisi attenta, condotta sugli stessi soggetti, potrebbe rilevare i mutamenti formali intervenuti da un periodo all'altro. E' certo importante l'assunzione della pittoricità rispetto alla tensione del gesto, al romanticismo dell'indistinto, che perdura; è, del pari, significativo il complicarsi (e qui il gres e gli arcrilici facilitano il compito) dell'oggetto, la frenesia di scoprire le potenzialità degli elementi plastici e coloristici. Si rifugge dalla tendenza -oggi affermata - di privilegiare la composizione mediante l'adozione di un solo colore (con la monocromaticità s'intende esaltare la figura, il tratto, il rilievo),
mentre il ricorso a un vasto spettro cromatico diviene per Bai funzionale a un risultato espressivo che si vuole più forte.
Più significativa ancora per le prospettive che apre, per la stessa avventura che lo attende, è la decisione di rompere con la produzione di oggetti d'uso e di dedicarsi esclusivamente alla ricerca. Da qui il rinascere e l'accentuarsi dell'interesse mai del tutto scomparso (certo meno praticato) per il disegno e, appunto, la pittoricità. Ecco quindi il, talvolta caotico e incontenibile, esplodere dei colori. A temi apocalittici, con le allegorie della distruzione, di cui l'Angelus non è la sola espressione, si unisce quella che sarà la nuova costante di Bai, ciò che è al di là del segno, che non può essere descritto, la cifra, l'inaudito.
Se il tutto si presenta di volta in volta mescolato e confuso; se non vi sono nell'ultima produzione abbandoni netti con soluzioni di continuità, se insomma pezzi di passato continuano a vivere nel presente, ciò dipende dal procedere stesso dell'artista, in progressione e a volute. Semmai non si nota nel foglio ciò che la stessa ceramica non potrebbe rappresentare; e allora, se è così, meglio varrebbe riservare al disegno le prove d'autore, gli esperimenti, e concentrarsi su quella che resta per Bai l'elemento naturale, il modellare la creta e dipingerla.
La scelta di confezionare un oggetto d'arte rispetto all'oggetto d'uso è un atto di coraggio nella realtà d'oggi, ma sarebbe ingenuo pensare che ciò svincoli, come per magia, il produttore dalle esigenze del mercato o dell'utenza che pongono problemi di funzionalità. Come e più di un quadro, un pannello di ceramica deve assolvere una funzione decorativa da cui il produttore è oggettivamente condizionato. La ricerca pura può avvenire (anzi avviene), ma al di qua della soglia del laboratorio ove al mercato è proibito l'accesso. Quando il prodotto ne esce, ha già subito un processo di adeguamento atto a introdurlo nel mercato. Tale problematica già riscontrabile nelle opere che precedono la scelta dei primi anni ottanta è ben presente in quelle che la susseguono, Anzi si rafforza nel complesso l'intenzione di conseguire la bella composizione, lo sforzo volto al perfezionismo dell'immagine che riempie il pannello o si fa statua o abbozzo.
C'è in altre parole l'impegno tecnico che fa la differenza con il prodotto banale e allo stesso tempo la precisa volontà di non volgere le spalle a una fascia di mercato che pure permette a una bottega di produrre e di vivere. Si ricorda al riguardo l'inserimento tutto naturalistico di alcune foglie di acero in un contesto informale, gli stessi angeli sono armoniosi e colorati, il cipresso è talvolta congiunto alle stelle o corredato da un effetto di conchiglia, per restare agli esempi vistosi. Ma è tutta la composizione che subisce un affinamento di gusto come mediazione verso quell'aggancio commerciale che è poi la normale fruizione.
Diceva Adorno che la società funzionale pone ai propri margini chi non vi si adegua. Tale adeguamento è, in ultima analisi,
l'esercizio che l'adulto è costretto a compiere per rispondere alla sua domanda. Diventare adulto significa in altre parole apprendere coscienziosamente l'arte di adeguarsi soffocando, se necessario, quella parte di sé che avrebbe ambito a una diversa crescita, a una totale liberazione. L'artista è una figura chiave del rapporto bambino-adulto. La sua condizione sociale gli interdice di restare bambino subendo la penosa sconfitta che la società riserva ai suoi membri difformi, agli anomali, a coloro che non si adeguano alle sue regole. Se non ha la fortuna di nascere ricco o di incontrare un mecenate deve inventarsi un modo di crescere, mirare a conquistarsi un punto di equilibrio tra aspirazioni individuali e fruizione del prodotto conciliando gli opposti. Nessun mago dell'estetica divinò che gli artisti dovessero fare la fame.
II punto di equilibrio conseguito non consiste in Bai nella visione latente del bimbo diventato adulto, nella prospettiva attraverso cui l'artista guarda ciò che rappresenta, ma, al contrario, nella funzione che attribuisce agli oggetti che produce. II fruitore delle sue composizioni diventa il suo interlocutore (seppure non unico), cui si rivolge mediando tra raffinatezza tecnica e calligrafica da un lato e ricerca artistica dall'altro.
Nell'esito di questa combinazione il bambino è diventato adulto ed ha assunto una certa astuzia. II ritorno alle visioni dell'infanzia proprie dell'arte naif o, meglio ancora, del primo surrealismo, ancorché autentiche e non vezzi o esibizionismi, gli sembrava insufficiente a coinvolgere un'utenza più sensibile ad altri motivi e strumenti, anche tecnici, che si lascia sedurre dalla finzione se questa è sapientemente organizzata. Tale finzione andava quindi alimentata con lo studio dei meccanismi che regolano il consumo dell'oggetto d'arte nella società contemporanea, gratificando un'utenza dopo averne scoperto i punti deboli, penetrando nelle sue manchevolezze, Pare questa la prospettiva, ormai del tutto acquisita, di certi approdi di Bai. (I cicli delle figure femminili isolate o a gruppi, le sculture muliebri stilizzate, i ritratti di guerrieri a cavallo, i pannelli informali assai elaborati, ne forniscono una esauriente campionario.) Non si tratta di una mistificazione, bensì, si noti, di una combinazione, di rendere cioè funzionali elementi di diversa origine.
L'ingenuità del bambino diventato adulto si è arricchita di scaltrezza e di bravura tecnica, la fedeltà all'infanzia ha acquisito la lucidità necessaria per individuare ciò che non è innocente.


Franco Fè